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26nov

Studio CORONAVIT e le raccomandazioni degli esperti. Ruolo della vitamina D nella prevenzione e nella gravità della malattia COVID-19.

26 nov, 2020 | Comunicati e news | Return|

A far luce tra i numerosi studi pubblicati negli ultimi mesi sul legame tra vitamina D e COVID-19 sarà forse lo studio CORONAVIT (Phase 3 Randomised Controlled Trial of Vitamin D Supplementation to Reduce Risk and Severity of COVID-19 and Other Acute Respiratory Infections in the UK Population) guidato da Adrian Martineau - della Queen Mary University di Londra - e pubblicato su ClinicalTrials.gov.

Partito a fine ottobre, lo studio sta arruolando più di 5.000 volontari (esattamente 5.440) che assumeranno una supplementazione di vitamina D per 6 mesi; qualsiasi residente nel Regno Unito di età pari o superiore a 16 anni potrà partecipare, purché non stia già assumendo dosi elevate di tale vitamina. I partecipanti prenderanno parte al trial dalle loro case, senza bisogno di visite in presenza, poiché tutti i test e gli integratori di vitamina D verranno inviati tramite posta. Innanzitutto, verrà effettuato un esame del sangue che valuterà i livelli sierici di vitamina D; alle persone rilevate carenti, verrà inviata una fornitura di sei mesi di 800 o 3.200 UI di vitamina D da assumere giornalmente.

“Date le evidenze crescenti sul fatto che la vitamina D potrebbe ridurre il rischio di infezioni respiratorie, e che alcuni studi recenti suggeriscono che le persone che ne sono carenti potrebbero essere più suscettibili al SARS-CoV-2,” dice Martineau, “le persone in sovrappeso, quelle di colore e asiatiche, sono sicuramente maggiormente a rischio di ammalarsi gravemente di COVID-19".

Il team di ricerca seguirà l'incidenza dell'infezione respiratoria acuta diagnosticata dal medico o confermata in laboratorio dei partecipanti, inclusa la COVID-19, per vedere se l'integrazione di vitamina D avrà avuto un effetto sul rischio e sulla gravità delle infezioni, fino a giugno 2021.

Attività immuno-modulatoria della vitamina D

L’azione protettiva della vitamina D e il suo meccanismo di azione sono stati già stati ipotizzati in numerose pubblicazioni e a luglio, Gauzzi e  Fantuzzi del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISS, nella lettera all’editore pubblicata sull'American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, ne hanno confermano il possibile meccanismo prendendo in considerazione numerosi studi sull’argomento.

In questa lettera, di corrispondenza scientifica iniziata ad aprile sulla stessa rivista da Hrvoje Jakovac dell'Università di Rijeka (Croazia), con una lettera dal titolo “COVID-19 and vitamin D - Is there a link and an opportunity for intervention?”, le due esperte spiegano come la vitamina D, oltre ad avere un effetto antivirale su alcuni ceppi, stimola il rilascio di interferone di tipo I che sembra essere alla base dell’azione antivirale, in particolare nella fase iniziale dell’infezione. Inoltre, la vitamina D stimola la trascrizione genica di specifici peptidi antimicrobici - come la catelicidina- nel tessuto polmonare, che potrebbero contribuire alla ridotta aggressività del SARS-CoV-2 a carico del parenchima polmonare. Infine, l’attività immuno--modulatoria della vitamina D potrebbe contribuire a ridurre il danno legato all’iper-infiammazione (la tempesta citochinica) nei pazienti con forme severe di malattia, giustificando quindi il suo utilizzo come terapia adiuvante.

Le due ricercatrici concludono che il ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel controllo dell’infezione da SARS-CoV-2, soprattutto nel prevenire le complicanze polmonari, è fondamentale e si può definire ormai una misura di sanità pubblica.

La prevenzione come strategia

Il primo Paese che a quanto sembra ha considerato seriamente la strategia preventiva di utilizzo della vitamina D come scudo contro il SARS-CoV-2, è la Slovenia.

Ad agosto, in previsione della seconda ondata della pandemia, gli esperti del governo sloveno hanno caldamente consigliato ai loro medici di prescrivere la supplementazione di vitamina D ad anziani, fumatori, obesi, pazienti affetti da malattie croniche come diabete, ipertensione, varie malattie gastroenterologiche e anche negli afroamericani, tutti considerati fragili e ad alto rischio di contrarre la malattia COVID-I9. Lo si legge nella lettera all’editore pubblicata sulla prestigiosa rivista Mayo Clinic Proceedings da Darko Siuka e colleghi che concludono con un sollecito alla comunità internazionale per un urgente ricorso all’utilizzo di vitamina D al fine di scongiurare il decorso grave e aggressivo della malattia nei pazienti ad alto rischio.

Considerando che circa il 40% degli europei è carente di vitamina D e il 13% ne è gravemente carente (come riportato in questo studio del 2019), il consiglio a tutta la popolazione di integrare vitamina D almeno nel periodo invernale, da parte di tutte le autorità sanitarie, potrebbe essere strategico per i prossimi mesi.

A cura di Catia Signorelli

Approfondimenti:

https://www.qmul.ac.uk/media/news/2020/smd/clinical-trial-to-investigate-whether-vitamin-d-protects-against-covid-19.html

https://journals.physiology.org/doi/full/10.1152/ajpendo.00315.2020

https://www.iss.it/coronavirus/-/asset_publisher/1SRKHcCJJQ7E/content/covid-19-la-vitamina-d-potrebbe-cooperare-con-l-interferone-nella-risposta-antivirale

https://www.mayoclinicproceedings.org/article/S0025-6196(20)30602-9/fulltext

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