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25mar

Pazienti Covid-19: la carenza di vitamina D peggiora la prognosi. Lo studio italiano.

25 mar, 2021 | Comunicati e news | Return|

La carenza di Vitamina D sembrerebbe associata a stadi clinici di COVID-19 più compromessi, è quanto si legge in un comunicato dell’Istituto Superiore di Sanità del 22 marzo 2021.

A sostegno di questa affermazione uno studio pubblicato sulla rivista Respiratory Research, frutto della collaborazione dell’ISS con l’Unità di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma guidata dal Professor Alberto Ricci.

Nello studio retrospettivo sono stati coinvolti 52 pazienti (27 donne e 25 uomini) ricoverati per malattia COVID-19 con compromissione polmonare, suddivisi in due gruppi in base ai livelli plasmatici di vitamina D.

Il gruppo uno presentava un valore medio di vitamina D di 5,65±2,43 ng/mL, il gruppo due di 21,54±8,81 ng/dL. L’età media dei pazienti con livelli plasmatici di vitamina D inferiori a 10 ng/mL era di 77.5±16 mentre quella dei pazienti con livelli plasmatici superiori a 10 ng/mL era di 68.9±18.

Nello studio sono stati messi in correlazione i livelli plasmatici di vitamina D con i marcatori per l’infiammazione, il danno cellulare, la coagulazione e i risultati radiologici della TAC.

I livelli di vitamina D erano carenti nell’80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%.

I pazienti con bassi livelli di vitamina D presentavano un quadro biochimico e clinico compromesso, oltre ad una sintomatologia più grave della malattia. Inoltre, essi avevano valori di D-Dimero più elevati, una conta linfocitaria (linfociti B) più elevata, una riduzione dei linfociti T CD8+ effettori e un basso rapporto CD4/CD8 che, come si sa, diminuisce al progredire di un’infezione.

I risultati ottenuti mediante tomografia computerizzata ad alta risoluzione hanno mostrato, sempre nei pazienti con ipovitaminosi, un quadro polmonare caratterizzato da noduli definiti “ground glass opacity” (GGO), riflesso ulteriore di condizioni patologiche gravi collegate a risposte immunitarie disfunzionali ormai tipicamente descritte nei casi di malattia COVID-19. 

Infine, il quadro clinico misurato con i punteggi LIPI (Lung Immune Prognostic Index) e SOFA (Sequential Organ Failure Assessment) risultava compromesso. La relazione tra LIPI, SOFA e carenza di vitamina D permette di ipotizzare, come si legge nelle conclusioni dello studio, che sono associate a prognosi peggiore nei pazienti COVID-19.

“L'effetto della carenza di VitD nella progressione del COVID-19 o nella gravità della malattia è ancora da valutare. I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di VitD e diversi marcatori di malattia. Al momento è difficile sostenere se l'integrazione di VitD possa svolgere un ruolo nel combattere la gravità della malattia e ridurre la sua mortalità, ma può essere una raccomandazione utile e sicura per quasi tutti i pazienticoncludono i ricercatori del Sant’Andrea.

A cura di Catia Signorelli

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