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16apr

Ruolo della vitamina D nelle infezioni acute respiratorie. Una meta-analisi pubblicata su The Lancet ne conferma l’efficacia.

16 apr, 2021 | Comunicati e news | Return|

Integrare vitamina D previene le infezioni acute respiratorie. È quanto emerge da una meta-analisi pubblicata su  The Lancet Diabetes & Endocrinology il 30 marzo 2021 da 42 ricercatori di diversi istituti, ospedali e università del globo e guidati dal Prof. Martineau della Queen Mary University di Londra.

La ricerca, iniziata nel 2017 e completata nel 2021, ha identificato un totale di 1528 studi randomizzati controllati (RCT), raccolti nei principali database quali Medline, Embase, Clinical Trial Gov, Cochrane e dai quali ne sono stati selezionati 43, che coinvolgono un totale di 48.488 persone.

I partecipanti agli studi appartenevano a 23 paesi di 5 continenti differenti ed erano sia donne che uomini di tutte le fasce d’età.

La concentrazione sierologica basale di 25-idrossicolecalciferolo (25OH-D) era stata accertata in 35 studi e variava da 18.9 a 90.9 nmol/L. In 42 studi era stato somministrato colecalciferolo (vitamina D3) per via orale mentre in uno studio soltanto era stato somministrato, sempre vie orale, il 25-idrossicolecalciferolo.

In 13 studi la vitamina D veniva somministrata una volta al mese o ogni tre mesi, in 6 studi settimanalmente, in 22 a dosaggio giornaliero, in 2 sia mensilmente che giornalmente.

La durata degli studi variava da 8 settimane a 5 anni. L'incidenza dell’infezione acuta respiratoria (ARI) era primaria o co-primaria in 23 studi e come outcome secondario in 20 studi.

Sono state quindi condotte delle analisi per determinare se gli effetti della vitamina D sul rischio di ARI variassero in base alla concentrazione basale di 25-idrossicolecalciferolo o in base al dosaggio somministrato.

Questi i risultati ottenuti dai ricercatori

Sul confronto primario tra supplementazione di vitamina D verso placebo si è evinto che la supplementazione ha ridotto il rischio di infezione acuta respiratoria.

Sono stati osservati effetti protettivi negli studi in cui la vitamina D è stata somministrata utilizzando un dosaggio giornaliero a dosi equivalenti di 400-1000 UI e per una durata di ≤12 mesi.

Non sono stati invece individuati effetti positivi in caso di dosaggi maggiore; anzi, dosi più elevate - scrivono gli autori - potrebbero avere effetti negativi su metabolismo e sulle risposte dell'ospite a patogeni respiratori.

Gli autori concludono che la rilevanza di questi risultati per il trattamento della COVID-19 non è ancora nota ma richiede un approfondimento viste le infezioni acute respiratorie provocate dal virus SARS-CoV-2.

Di fatto, in questo ultimo anno, sono numerosi gli studi pubblicati e le prese di posizione delle comunità scientifiche sull’importanza della vitamina D sia in prevenzione che in corso di malattia COVID-19.

Lo studio CORONAVIT pubblicato su ClinicalTrials.gov, in corso in UK e che si concluderà il prossimo giugno, dove il team di ricerca sta seguendo l'incidenza dell'infezione respiratoria acuta, inclusa quella da  SARS-CoV-2, valuterà se l'integrazione di vitamina D abbia avuto un effetto sul rischio e sulla gravità delle infezioni.

In Slovenia, già ad agosto 2020, in previsione della seconda ondata della pandemia, gli esperti del governo sloveno avevano caldamente consigliato ai loro medici di prescrivere la supplementazione di vitamina D ad anziani, fumatori, obesi, pazienti affetti da malattie croniche come diabete, ipertensione, varie malattie gastroenterologiche e anche negli afroamericani, soggetti considerati fragili e ad alto rischio di contrarre la malattia COVID-I9. Gli esperti concludevano la loro lettera all’editore con un sollecito alla comunità internazionale per un urgente ricorso all’utilizzo di vitamina D al fine di scongiurare il decorso grave e aggressivo della malattia nei pazienti ad alto rischio.

La presa di posizione della società scientifica spagnola di geriatria e gerontologia sul fatto che la supplementazione della vitamina D deve diventare una pratica standardizzata per la prevenzione e il trattamento della malattia COVID-19.

Lo studio italiano pubblicato sulla rivista Respiratory Research, frutto della collaborazione dell’ISS con l’Unità di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma, mette in luce che la carenza di vitamina D sembrerebbe associata a stadi clinici di COVID-19 più compromessi.

A cura di Catia Signorelli

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